29 gen 2018

Ci si parla invece poco.

Il recente tragico episodio dell'agente penitenziario che si è suicidato mi ha indotto a riflettere su come e perché un  padre possa comportarsi così male nei confronti della figlia quattordicenne, da essere allontanato da essa e dagli altri familiari con un provvedimento dell'autorità che si occupava del caso; emerso da un tema in classe svolto dall'adolescente.

Quindi non soltanto il mancato aiuto per affrontare autonomamente la vita, ma addirittura l'utilizzo perverso della paternità con le gravi conseguenze cui esso dà luogo.

La morte dell'indagato fa venire meno ogni ulteriore azione, mentre alla famiglia mancherà la risposta al perché degli abusi di cui è stato accusato e quanto di esperienza si può trarre dalla più precisa conoscenza dei dolorosi fatti.

Esprimo il mio punto di vista in merito che mi auguro di qualche  utilità, non certo come esperto ma in veste di genitore che ha sotto gli occhi gli esiti non solo della vita dei propri figli ma anche dei nipoti.

Attualmente tra genitori e figli c'è una concezione della vita di entità e qualità molto diversa rispetto al passato, cui s'aggiungono contributi nuovi a ritmo serrato e stimoli relativi che non è agevole disciplinare senza una continua interlocuzione critico-costruttiva e gli apporti degli interessati, con disponibilità reciproca a riconoscere inadeguatezze ma anche l'autorevolezza dei propri coerenti vissuti.

Ci si parla invece poco e non sempre in modo soddisfacente, talché i giovani si scelgono referenti fuori dalla famiglia e non infrequentemente impersonali come internet e simili. Quindi diminuisce e non si aggiorna la conoscenza dell'altro, delle sue esigenze e bisogni; cresce l'estraneità tra genitori e figli fino a diventare patologica con le ambiguità che la caratterizzano e le incomprensioni.

Se la cultura  delle parti è modesta può manifestarsi l'esercizio predatorio da parte di chi dispone di più potere. Se invece il livello culturale è adeguato può comparire la maligna malizia di chi vuole mettersi e mettere alla prova senza considerare, oppure considerandola ammissibile ed egoisticamente vantaggiosa per sé, l'esperienza di cui dispone comunque il genitore rispetto ai figli, fino a violarne la sacralità più intima con imperdonabile impudicizia etica e comportamentale.

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