23 dic 2013

Che nessuno manchi del necessario per vivere.

Con il S. Natale alle porte ed il Capodanno sono di prammatica gli auguri che formulo di tutto cuore.

Ribadendo subito che nulla deve restare di intentato affinché ogni persona possa lavorare secondo le proprie capacità e ricavare il necessario per vivere dignitosamente.

Si tratta della priorità assoluta che la politica, le istituzioni e le classi dirigenti del Paese nel loro insieme hanno, e di cui debbono rispondere, dimostrando concretamente di mettercela tutta.

Curando che nel frattempo nessuno manchi del necessario per vivere.

Per raggiungere questi obiettivi sono auspicabili governi e maggioranze parlamentari stabili, che ottemperino agli impegni assunti. Qualora siano inadempienti e/o incapaci, si possono cambiare osservando le prescrizioni dettate dalla Costituzione.

Le proteste e le proposte dei cittadini sono stimoli vitali per la democrazia, la politica e il buon funzionamento delle istituzioni.

Ai partiti ed altre organizzazioni operanti con metodo democratico, il compito costituzionalmente previsto di offrire ai cittadini il supporto per fare valere le loro esigenze, necessità, bisogni.

Se essi vengono meno ai loro doveri sono puniti dai cittadini insoddisfatti, che se ne allontanano. Nei casi più gravi interviene la magistratura sanzionando le persone colpevoli.

Nei giudizi che si esprimono sul loro operato evitare di fare di ogni erba un fascio. Cioè distinguere tra chi si comporta male e/o disonestamente, e quanti mantengono la schiena dritta.

Per modo che il disamore per i partiti e le organizzazioni similari non si trasformi in disaffezione per la politica in quanto tale, ritenendola inadeguata e/o incapace di risolvere i problemi del nostro tempo. E con essa vengano meno la speranza, la fiducia e la voglia di occuparsene.

Perché la politica, la speranza, la fiducia e la voglia sono gli elementi su cui puntare per farcela adesso, e per costruire un futuro nuovo.

Con le differenze che ci contraddistinguono che concorrano per conquistare una inedita prevalenza, leadership di qualità, costituita dalla sintesi dialettica del meglio di ciascuno.

Ancora Buone Feste a tutti!

 

17 dic 2013

Sull'attuale situazione politica italiana.

Sull’attuale situazione politica italiana, e per quanto può valere, la penso così.

Negli ultimi vent’anni e nel loro insieme: partiti, istituzioni, economia, cultura, lavoro, hanno prodotto politiche inadeguate e di modesta qualità, rispetto alle esigenze del Paese di stare al passo coi tempi. Eccetto forse nel quinquennio dell’Ulivo 1996-2001, durante il quale siamo entrati nell’euro ed il debito pubblico è sceso al 103% del Pil.

La crisi in atto rimarca ed accentua le debolezze che ne sono conseguite.

Nonostante ciò il peggio sta passando, ma ci attendono ancora tempi che metteranno alla prova la nostra volontà e capacità di riprenderci il posto che ci spetta, non lasciando nel frattempo soli cittadini, famiglie, imprese in difficoltà, e che a nessuno manchi il necessario per vivere dignitosamente.

Per ottenere questi risultati il 90% degli italiani che possedeva il 50% del risparmio privato, lo sta spendendo per aiutarsi ed aiutare. Mentre il restante 10% di italiani che possiede l’altro 50% deve porvi mano per alimentare la buona economia, la creazione di posti di lavoro, e più in generale iniziative ed attività che aiutino e sostengano la produzione di beni e servizi per la buona qualità di vita. Individuando convenienze nuove e giuste che esistono, per agire così; piuttosto che darsi alle speculazioni finanziarie o peggio, a danno di altri e senza aggiungere un euro alla ricchezza reale, costituita unicamente dal risparmio sul frutto del proprio lavoro e dal lecito tornaconto sull’attività d’impresa.

Mentre l’ibrido governo Letta fa onestamente la sua parte perché la situazione migliori, si avviino le riforme possibili, si abolisca il finanziamento pubblico ai partiti, si approvi la nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i proprii rappresentanti e confermi il sistema bipolare, in cui chi vince disponga della maggioranza parlamentare per governare.

Infine tocca a tutti discernere tra la protesta democratica, da fare propria per risolvere meglio i problemi, e l’inaccettabile strumentalizzazione del malessere, da respingere.

Utilizzando ogni stilla di energia, ogni euro reperibile per uscire dalla crisi, con il lavoro e lo studio ed uno sviluppo nuovo.

 

Via crucis.

Lunedì 9 dicembre scorso a Torino i “forconi” mi hanno costretto a spostarmi sui miei cigolanti ginocchi, perché i mezzi pubblici andavano in rimessa interrompendo la loro corsa, i centralini dei taxi non rispondevano e non c’era altro modo per rientrare a casa.

Dopo una via crucis da non dire, mi hanno aiutato i tranvieri del deposito nei pressi, facendomi salire su un tram che stava entrando in servizio.

Tutto questo mi ha sollecitato a riflettere su di loro, per quanto ho visto, sentito e letto.

Si tratta di un movimento di protesta che s’è dato un canovaccio che adatta alle situazioni in cui decide di operare. In non molti riescono a mobilitare e capeggiare proseliti disponibili lì per lì, coinvolgendoli in iniziative anche importanti come blocchi stradali e ferroviari, senza apparentemente porsi alcun problema sulle conseguenze dei loro comportamenti.

Con modi spicci inducono le persone in disaccordo a soggiacere alle loro pretese.

Costituiscono una variegata nebulosa che si fregia della sigla, riservandosi però una notevole autonomia operativa.

Intercettano insoddisfazione e malcontento ed esigenze reali, cavalcandole però a propria discrezione.

Al loro interno c’è di tutto un po’: dagli ultrà calcistici agli estremisti di destra, e perfino chi inneggia a non andare tanto per sottile.

Quindi s’é andati ben oltre gli intendimenti originari dei fondatori del movimento, al punto da ritenere che altre siano attualmente le finalità che esso persegue. E che non essendo note e dichiarate, né riconducibili a qualcuno che ne risponda, il tutto vada considerato con particolare attenzione e prudenza.

 

12 dic 2013

Primarie PD.

Le elezioni primarie dell’8 dicembre scorso per eleggere il segretario nazionale del Partito Democratico le hanno vinte innanzitutto i ben oltre 2 milioni e mezzo di cittadine/ni che, in barba alle più tristi previsioni e timori, hanno affollato già di primo mattino i 9 mila seggi, continuando imperterriti fino a sera.

E di questi quasi un milione di non iscritti al Partito Democratico, che hanno concorso a dare vita ad una giornata di buona politica.

Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati dopo una civile, intensa campagna elettorale, hanno riscosso rispettivamente il seguente consenso: 68% circa, 18% circa, 14% circa.

Matteo Renzi è quindi il nuovo segretario nazionale del Partito Democratico.

A risultati rapidamente noti, i tre protagonisti si sono espressi in modo sobrio e misurato, come non accadeva da tempo nel nostro Paese.

Tutti e tre hanno dichiarato di continuare il lavoro intrapreso, in ruoli diversi come disposto dagli elettori, con rinnovata lena per giovare all’Italia con il partito.

La nuova generazione compie così un passo avanti importante, per dotarsi degli strumenti che le consentono di affrontare i problemi con piglio ed energie consone, giovandosi di disponibilità e competenze da attingere nel partito, nella società civile e altrove, e suscitandone di nuove.

Nel giro di un giorno Renzi ha presentato la sua segreteria composta da sette donne e cinque uomini, all’incirca suoi coetanei, con cui opererà per la realizzazione degli obiettivi e priorità dichiarate in campagna elettorale, tra cui: l’impegno per uscire dalla crisi con il lavoro e nuovo sviluppo, la nuova legge elettorale che garantisca scelte sovrane agli elettori, il bipolarismo, la governabilità, la riduzione dei costi della politica con subito risparmi per oltre un miliardo, la riduzione del numero dei parlamentari, il prevalere di un sano pragmatismo fondato sulla capacità di assumersi responsabilità.

Il tutto sottoposto a periodiche, stringenti verifiche per accertarne la realizzazione.

Obiettivi e priorità da condividere con il governo Letta e da sottoporre al voto di fiducia del Parlamento.

Facendo ognuno la propria parte in dialettica unità d’intenti, in modo da pervenire a nuove elezioni nel 2015, cioè dopo il semestre in cui tocca all’Italia la presidenza del Consiglio dell’Unione europea (luglio – dicembre 2014).

 

 

9 dic 2013

Una lacrima nera.

Per salutare e onorare Nelson Mandela non so fare di meglio che richiamare la vignetta che Vauro ha disegnato nel corso di “Servizio Pubblico” di giovedì scorso su La 7: una lacrima nera.

“La Stampa” del 6 dicembre scorso pagine di Asti torna giustamente sul tema del servizio ferroviario, che con gli orari di prossima applicazione penalizzano Asti e l’Astigiano, non tenendo conto delle motivate esigenze prospettate da interlocutori istituzionali: Province e Comuni, dal Comitato Pendolari, da esperti e fruitori.

Tra questi ultimi il giornale dà la parola a Oscar Ferraris che di trasporti ferroviari ne sa parecchio, anche per esperienza professionale, ed a Simonetta Millacci abbonata annuale, che ha scelto coraggiosamente il treno come mezzo per muoversi, e si sente tradita dai Dirigenti Regionali che se ne occupano.

Siccome m’annovero tra i clienti di lungo corso delle ferrovie, aggiungo la mia alle loro ragioni che condivido nella sostanza.

È di tutta evidenza che i collegamenti di Asti e dell’Astigiano con Milano attraverso Alessandria, già carenti e farraginosi, peggiorano ulteriormente se si tolgono treni essenziali utilizzati dai pendolari per arrivare al lavoro in orario, e riducono le opportunità di collegare efficacemente le due realtà, anche in vista dell’Expo 2015.

Quindi chi di dovere deve compiere ogni utile azione che eviti questa iattura e consenta una mobilità consona tra Asti e Milano, con implicito giovamento per i viaggiatori che si fermano ad Alessandria.

Ben vengano quindi intese con Trenord, se capaci di migliorare il servizio nei confronti dell’attuale utenza e dell’incremento che per certo deriverà.

Perché correre anche solo il rischio di fare di Asti e dell’Astigiano un’enclave negletta dal punto di vista dei collegamenti ferroviari interni e nazionali, rappresenterebbe una insopportabile e imperdonabile insipienza.

3 dic 2013

Amarcord

Amarcord, o il tentativo di tirare le fila per cogliere il senso del proprio percorso esistenziale. Testimoniando quanto segue.

L’andare del Messo per le borgate del Comune a leggere le disposizioni del Podestà, attirando l’attenzione con il rullare del tamburo a tracolla.

La luce elettrica al posto del lume a petrolio: una festa, avevo 6 anni.

La presenza dell’organetto a manovella spinto a mano nei cortili, con musichette d’epoca e l’omino che raccontava ad alta voce fatti tremendi di cronaca nera o spassose vicende d’amore, raccogliendo le monetine che l’uditorio gettava di sotto.

Il primo pudico bacio con la coetanea di 11 anni; la scoperta del lago a 16 e del mare durante il servizio militare di leva.

Il parto della mucca con il vitello di razza, tratto dal ventre da uomini alacri nella stalla.

Tante conchiglie larghe una mano in un dirupo accessibile a tutti.

Gli scoppi come di petardi, nelle notti d’inverno per il gelo che gonfia gli umori vitali degli alberi fino allo schianto. Arabeschi di ghiaccio alla finestra.

Il depositare dell’uovo di gallina nel nido tra il fieno nella “trava’”.

La pigiatura dell’uva coi piedi nell’“arbri”, col mosto che gorgoglia odoroso e svelto attraverso il foro all’estremità.

La sfogliatura del granoturco la sera, canticchiando, raccontando, ascoltando.

Il gallo a farla da padrone nel pollaio, con le galline in attesa.

La picchiata repentina del falchetto su un gruppo di pollastre in pastura.

Ragazzotto al lavoro per 0,20 lire all’ora, con il latte che costava 0,80 lire al litro.

L’apprendimento di rudimenti di latino facendo il chierichetto in chiesa.

La trasformazione di bossoli di mitraglia da aeroplano raccolti nei prati dopo le incursioni, in verderame per le viti.

La produzione di olio alimentare durante il razionamento bellico del cibo, spremendo nocciole con torchietto rudimentale.

Un’incursione aerea, l’impiccagione del partigiano Luigi Capriolo per mano nazifascista e l’uccisione del partigiano Domenico Tamietti in uno scontro a fuoco.

Il baratto di un bottiglione di acqua di mare per ricavarci sale, con una salciccia del maiale macellato da poco.

La posizione della locomotiva in mezzo al treno mascherata da vettura, per difenderla dagli attacchi aerei.

La consuetudine del canto in famiglia con genitori e figli.

Il viaggio di pendolari in treno su carri bestiame al buio, seduti sul pavimento, per anni a guerra finita.

Il bagno in casa solo dopo il matrimonio.

Una giornata di lavoro piena cui seguiva la scuola, per migliorare le condizioni di vita.

Ancora a scuola per imparare l’uso del computer.

 

 

 

Primarie PD.

Come immagino le primarie ed i suoi esiti dopo l’elezione del segretario nazionale del Partito Democratico l’8 dicembre prossimo, cui possono partecipare tutti gli elettori e le elettrici che ”dichiarano di riconoscersi nella proposta politica del Partito, di sostenerlo nelle elezioni, e accettino di essere registrate nell’Albo pubblico delle elettrici e degli elettori”.

Intanto con molte donne e uomini di ogni età, che si recano ai seggi per decidere chi dei tre candidati: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo, Pippo Civati, sarà il segretario nazionale.

Che chiunque vinca associ al suo lavoro gli altri due, dando vita ad una squadra tosta la cui sfida quotidiana sia distillare il meglio di ciascuno, farne la sintesi e porla al servizio dell’Italia.

Non portarsi appresso posizioni che hanno fornito stimoli, vivacità e contributi ai dibattiti congressuali, con l’elezione degli organi del Partito a tutti i livelli, nonché la scelta dei candidati alle primarie stesse per la segreteria nazionale; ma che diventerebbero remore o peggio, se cristallizzate e contrapposte a sé e per sé all’interno del Partito.

Che la pluralità di pensiero e di voci sia considerata una ricchezza, da cui il Partito fa scaturire migliori e più eque soluzioni per i problemi da affrontare. Attribuendo la priorità a quelli di chi sta peggio, e ponendo al primo posto onestà, probità, competenza, testimoniate dal vissuto personale e compendiate nelle parole ”disciplina e onore” contenute nell’art. 54 della Costituzione.

Operare affinché il governo Letta completi il programma sul quale ha ottenuto la fiducia del Parlamento, ed in particolare crei lavoro, riduca l’evasione fiscale, abbassi il debito pubblico dello Stato, avvii le riforme istituzionali, pervenga alla nuova legge elettorale.

Insistere affinché l’Europa adotti politiche di sviluppo che consentano agli Stati membri in difficoltà di superarle. E si dia istituzioni continentali per operare da protagonista in politica estera, economia e finanza, difesa, immigrazione.

Che il Partito Democratico sia d’esempio nell’affermare, promuovere e praticare i diritti-doveri civili, la solidarietà, l’equità, la giustizia sociale, che caratterizzano i rapporti nelle società e democrazie evolute. E si colleghi in Europa con le organizzazioni che già operano in questo senso.

 

Se c'è qualcosa che non va diciamocelo.

Ancora su come uscire dalla crisi col lavoro e per uno sviluppo nuovo, riducendo il debito dello Stato dall’attuale 130% del Pil al 100%.

Se ne esce lavorando in di più, in prospettiva tutti, e meglio. Per ottenere questo risultato occorre investire in modo mirato; ma per fare ciò lo Stato non ha i denari necessari.

Il 90% degli italiani ha ormai consumato i risparmi per stare a galla.

Invece il 10% possiede patrimoni per 4500 miliardi. Da lì devono uscire gli investimenti per ripartire; lasciando ai privati interessati la scelta tra il prelievo fiscale dell’ammontare necessario, oppure orientare i proprii investimenti in modo appropriato per ottenere il risultato desiderato.

Allo Stato il compito di proporre un quadro generale equo e credibile entro cui operare queste scelte.

Sempre allo Stato compete ridurre il proprio debito sotto il 100% del Pil, senza gravare ulteriormente sui contribuenti ormai esausti, specie se percettori di redditi fissi: stipendi, salari, pensioni, ecc., risparmiando 30 miliardi in 3 anni sul totale della spesa pubblica di 800 miliardi l’anno; e ricuperandone altrettanti dall’evasione fiscale di oltre 150 miliardi annui. Ed inoltre cedendo con oculata capacità porzioni di patrimonio non indispensabili per il suo buono e sano funzionamento. Ed ancora utilizzando le economie sui pagamenti degli interessi sul debito via via decrescente; nonché giovandosi dell’aumento del Pil con l’economia in ripresa.

Come ordini di grandezza ricordiamoci che un punto del debito pubblico vale circa 16 miliardi ed i punti da diminuire sono 30. Quindi in totale servono 480 miliardi nell’arco di una quindicina d’anni; cioè 32 miliardi l’anno.

Parrebbe tutto alla nostra portata senza sconvolgere alcunché.

Si tratta certo di ipotesi da uomo della strada, seppure con qualche esperienza.

Se c’è qualcosa che non va diciamocelo. Grazie.