20 lug 2012

Età dell'oro

Se prendiamo a misura della qualità della vita la sua durata media, scopriamo che l’Italia è ai primi posti in Europa: 85 anni per le donne, intorno agli 80 per gli uomini.

Nella prima metà del secolo scorso non si superavano i 50 anni, un balzo in avanti senza eguali.

Cibo, servizi per la salute, case salubri, scolarizzazione, miglioramenti dei tempi e dei luoghi di lavoro, hanno fatto la differenza. Conquiste importanti nel corso di una generazione. La Costituzione a orientare e dare un senso al tutto. Con i conti pubblici in ordine.

Lavorando sodo, gli obiettivi che ci si dava erano alla portata. Per acquistare la prima Fiat 600 occorreva un anno di salario negli anni ’50 (600 mila lire, si diceva anche 1000 lire per centimetro cubo di cilindrata). Si pagavano 16 mila lire al mese di affitto per due camere cucina e servizi. Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat, guadagnava 40 volte il salario operaio; un direttore generale 20 volte: indicatori di una più equa distribuzione della ricchezza prodotta. C’entravano le lotte sindacali e sociali? Certo, ma non solo. La mobilità sociale, ad esempio costava impegno e sacrificio ma c’era. Inoltre l’energia a buon mercato – ricordo il petrolio a 10 lire al litro – faceva la sua parte.

A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 la crisi petrolifera fu tra i primi segnali che le cose stavano cambiando nella ripartizione della ricchezza prodotta, a favore della rendita e del capitale e a danno del lavoro. Subentra presto il meccanismo perverso dell’inflazione e si sviluppa la fallace illusione, tuttora persistente, che a produrre ricchezza non sia più il lavoro ma il vortice finanziario.

Questo excursus “a braccio” per rimpiangere una supposta “età dell’oro”? Nient’affatto.

Per dire invece che ci sono le condizioni per un’intesa sociale sulla compatibilità dello stato sociale anche nell’attuale condizione di crisi; anzi, che esso è un riferimento sicuro da cui partire per uscirne. Sviluppando e comunicando una concettualità che sostenga questo obiettivo. Tenendo conto della maggiore complessità del contesto, con le contraddizioni che frenano anzicchè stimolare la mobilità sociale, umiliata da una rendita, specie finanziaria, vorace ed egoista e da sperequati corrispettivi del management delle più importanti realtà pubbliche e private del Paese.

Il tutto incompatibile con le sempre più diffuse istanze di maggiore equità e giustizia sociale.

18 lug 2012

Virtuosi ma puniti

A tutta pagina, “Monti: virtuosi ma puniti” (“La Stampa” 14.07.12)

A seguire: l’agenzia di rating Moody’s declassa i titoli di Stato italiani (bot, cct, btp) da A3 a Baa2.

In contemporanea il tesoro ha collocato 3,5 miliardi di btp triennali al 4,65% di interesse, il più basso da maggio-giugno scorso; ciò significa che i mercati non hanno tenuto conto del giudizio negativo espresso dall’agenzia.

Sul versante giudiziario la procura di Trani ha chiuso le indagini su fatti precedenti che riguardano la menzionata agenzia, ravvisando comportamenti di suoi responsabili che violerebbero il codice penale.

Sul declassamento si sono espressi fior di esperti, in soldoni così:

Il giudizio di Moody’s sarebbe sostanzialmente corretto perché le incertezze sull’Italia ci sono, e alle cose ben riuscite (le pensioni) se ne accompagnano altre (liberalizzazioni) che lasciano a desiderare (Alberto Bisin, economista, New York University);

Trovo drammaticamente banale il giudizio di Moody’s , che non aggiunge nulla a quanto già noto; sciocchezze scopiazzate qua e là (Giacomo Vaciago, economista, Università Cattolica, Milano);

Anche se Monti rappresenta ora una garanzia, si paventa il rischio instabilità nel futuro prossimo. Per evitare giudizi apocalittici come quello espresso, occorrerebbe togliere il monopolio alle tre agenzie che attualmente lo detengono. Una seria ricetta resta comunque il rigore finanziario e la crescita (Michele Boldrin, economista, University di Sant Louis, Washington);

Nel casinò mondiale giocare alla rottura dell’euro è diventato molto attraente, in particolare per numerosi giocatori che recentemente hanno guadagnato meno di quanto speravano (Stefano Lepri, editorialista, “La Stampa”).

Da questo caleidoscopio espressivo, si può trarre una prima sintesi.

Per riappropriarci della nostra sovranità, del nostro destino, occorre tenere i conti a posto, far ripartire lavoro, economia, sviluppo e ridurre l’indebitamento. Per osservare queste regole auree stiamo facendo sacrifici che non devono però spingersi oltre i limiti della sostenibilità per persone, famiglie, imprese. L’eventuale di più deve perciò essere richiesto ai grandi patrimoni, in conformità del dettato costituzionale (art. 53), che si riferisce alla capacità contributiva di ogni cittadino, con l’applicazione dei criteri di progressività.

11 lug 2012

Lavoro e finanza

Susanna Camusso (segretaria della Cgil) e Sergio Squinzi (presidente di Confindustria), ovvero il lavoro da una parte; Mario Monti (presidente del Consiglio) ovvero la finanza dall’altra, ed è pronto il nuovo scontro nell’orticello di casa nostra, comodo, servito; non resta che schierarsi.
Questa volta nella trappola non bisogna cadere.
Nonostante la finanza corsara continui a imperversare nel vertiginoso giro di numeri che ha ormai superato di tante, troppe volte la dimensione dell’economia reale, cioè i risparmi di tutti i cittadini del Mondo, diventando un potere dispotico e pervasivo.
Che ottiene salvataggi di banche, resiste all’imposizione di tasse sulle transazioni finanziarie più spregiudicate e rischiose, ed al ritorno alla distinzione tra banche che speculano rischiando in proprio e quante utilizzano il risparmio per alimentare l’economia, avvalendosi all’occorrenza di provvidenze pubbliche come qualsiasi altra azienda.
Il lavoro, per diventare realmente l’elemento fondante della nostra Repubblica democratica, ha bisogno di tutti i Camusso, Squinzi, Monti e dei Cipputi del Paese, per rappresentare dialetticamente i bene udenti, disponibili ad ascoltarsi ed interessati ad uscire dalla crisi.
Verso un Mondo nuovo, in cui l’unica ricchezza reale, quella prodotta dal lavoro, sia destinata per fare stare meglio tutti, persone e altri viventi animali e vegetali esistenti sul pianeta.
Per fare questo è necessario lavorarci dove si vive ed opera, collegando le esperienze tra loro a livello locale, nazionale, continentale e globale, mobilitando e utilizzando tutte le energie disponibili che ci stanno.
E sulla base dei risultati conseguiti ai vari livelli, formulare valutazioni di merito in corso d’opera, e assumere democraticamente le decisioni conseguenti.

6 lug 2012

Patrimoniale

L’IMU (Imposta Municipale Unica) è sì una patrimoniale ma un po’ sui generis, pesante per la stragrande maggioranza dei soggetti cui si rivolge (i soliti, perché da sempre noti, accessibili e solvibili), ma i cui effetti si limitano a migliorare il contingente – esempio il bilancio annuale – e non certo idonea a modificare strutturalmente la situazione italiana, che ha nel debito pubblico – oltre il 120% del Pil – il suo tallone d’Achille, il punto debole.

Perché genera interessi rilevanti che “ci mangiano vivi” – circa 90 miliardi l’anno – prestando per di più il fianco alla speculazione che ci lucra, accentuando le nostre già notevoli difficoltà.

Tutto questo nonostante le meritorie decisioni assunte ancora di recente, dal nostro governo e dall’Europa per fronteggiare la crisi.

Sono in molti ormai a ritenere che solo una consistente e sollecita riduzione del debito pubblico, per portarlo almeno al disotto del 100% del Pil, potrà consentirci l’uscita dalla crisi, la ripresa e lo sviluppo.

Siccome questo risultato non lo si può ottenere salassando ulteriormente i redditi da lavoro, ormai ridotti per molti al limite della sopravvivenza, s’è pensato di vendere dei “gioielli di famiglia”; operazione in corso che richiede però tempo, ed il cui gettito, a dire tanto, potrà consentirci di ridurre il debito intorno al 110% del Pil.

Qui giunti, l’ulteriore passo, quello decisivo, lo si può compiere solo con una patrimoniale di scopo rivolta al 10% degli italiani che detengono il 50% circa della ricchezza privata di tutto il Paese: 4500 miliardi. Questi italiani hanno già fornito da tempo impliciti segnali di disponibilità in questo senso, consapevoli per primi che non si può trascinare ulteriormente una così evidente situazione di grave disagio e squilibrio, avendo a portata di mano una possibile equa soluzione, senza che ne patisca la coesione sociale, mai così necessaria come di questi tempi. Perché il suo venir meno, minerebbe l’efficacia di qualsiasi provvedimento ed in particolare di quelli assunti, anzicchè a tempo debito, solo quando la situazione è così compromessa da non lasciare altra via d’uscita.

Siccome la priorità dell’argomento è presente a tutti, porlo sollecitamente all’ordine del giorno porterebbe solo bene.

3 lug 2012

Italia, olè!

L’Europa è verosimilmente la dimensione nella quale l’Italia costruirà il proprio futuro. Da questo approdo sicuro, potremo continuare ad andare per l’aperto mondo, portandovi quanto le nostre capacità consentiranno; cercando sempre di esprimerle al meglio.

Due circostanza verificatesi la settimana scorsa sono particolarmente significative in proposito.

L’Europa doveva dare un segnale di esistenza in vita come tale, per contrastare la speculazione finanziaria che la considera ambito privilegiato per le sue scorrerie, con gravi danni per tutti.

Dispiegando un impegno straordinario si sono compiuti passi importanti a livello politico, e l’Italia ha fatto la sua parte utilizzando risorse di cui dispone: competenza, affidabilità, serietà.

Questo lavoro ci è stato riconosciuto anche fuori dall’Europa e conterà nel prosieguo. Non è sempre stato così, è la strada giusta, perseveriamo. Se ci aiutiamo possiamo ancora migliorare.

Nel campionato europeo di calcio 2012 l’Italia ha fatto più di quanto si attendeva, arrivando addirittura in finale. Vincendo da inglesi con i cittadini di Sua Maestà, e superando la Germania della cancelliera Merkel, con teutonica disciplina e accuratezza. Tanto da illudere di poterci giocare alla pari la finale contro la Spagna, campione d’Europa e del Mondo.

La fatica accumulata e un po’ di mala sorte ci hanno riportati alla realtà. Forse un approccio più consono alla partita ed un utilizzo appropriato dei giocatori disponibili, potevano evitarci il poker che non meritavamo.

 

1 lug 2012

Non c'è un rimedio "belle e pronto"

Mi riferisco a “l’Infedele” di Gad Lerner su La7 del 25 giugno scorso, perché offre lo spunto per riflettere sulla difficile situazione economico-finanziaria dell’Europa, dal punto di vista delle persone informate ma non esperte, che si propongono di capire per decidere che fare nel loro piccolo.

Insigni economisti e titolari di saperi diversi, presenti in studio ed in collegamento, hanno convenuto che non c’è un rimedio “belle e pronto” da applicare per uscirne, ma è l’Europa che deve scegliere unitariamente, ed attuare con sollecita fermezza quanto deciso.

L’idea di ritirarsi nel proprio orticello nazionale, mimetizzarsi per farla franca, è ritenuta impraticabile, specie per i Paesi economicamente deboli e molto indebitati, perché resterebbero in balia degli eventi. Né quelli forti potrebbero vivere e prosperare in un’Europa con squilibri rilevanti tra gli stati membri.

L’interesse ad agire unitariamente: forti, meno forti e deboli, sta nel fatto che per essere efficaci occorre raggiungere la “massa critica” che solo il Continente nel suo insieme può esprimere.

I costi di questa operazione andranno quindi ripartiti in modo equo, per consentire ai Paesi deboli di rientrare nei parametri stabiliti e di rimanerci. Garantendo cammin facendo ai cittadini responsabilmente impegnati a fare la loro parte, ed alle famiglie quanto serve per condurre una vita di accettabile qualità.

In questo senso è importante che la leadership dei Paesi forti, avverta che non le si chiede di procacciare il pesce a chi non ce la fa, ma di lasciare il tempo e fornire l’indispensabile aiuto affinché tutti si procurino l’amo e la lenza.

Operando così si compiono anche impliciti, importanti passi nella costruzione di un’Europa giusta, fidente, consapevole e coesa al suo interno; con le diversità a fungere da incentivo per una competitività virtuosa. Dissuasiva verso la speculazione, esemplare nell’intendere la globalità e le modalità con cui parteciparvi.