Mentre l’Italia sta tirando un po’ il fiato la Cassazione ha recentemente condannato in via definitiva Silvio Berlusconi per frode fiscale, cui sono seguite le reazioni dell’interessato, del Pdl, del Partito Democratico, delle altre forze politiche e di quanti si occupano della vicenda.
Anche da noi, come in tutte le democrazie occidentali, gli eletti a cariche pubbliche sono soggetti alla legge come gli altri cittadini. Indipendentemente dal fatto che abbiano ricevuto tanti voti o meno e dai ruoli ricoperti. Infatti nelle aule di giustizia campeggia la scritta: “La legge è uguale per tutti”.
Nelle democrazie occidentali una persona condannata con sentenza passata in giudicato si dimetterebbe da ogni carica pubblica.
Se il condannato fosse un leader di partito, il partito stesso provvederebbe a sostituirlo prima possibile per evitare il disdoro che deriverebbe dal protrarsi della sua permanenza in carica.
L’Italia è nel novero delle democrazie occidentali il paese garantista per eccellenza, con tre gradi di giudizio e con la presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva (art. 27 Costituzione).
Dopodiché la sentenza si applica senza se e senza ma.
Sia che assolva, sia che condanni.
Più alta è la carica pubblica che si ricopre, maggiore è la responsabilità e l’obbligo di rispettare questi principi basilari.
Fatte salve le possibilità di ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, o di chiedere la grazia o la commutazione della pena al Presidente della Repubblica (art. 87 Costituzione).
Per avvalersi di queste possibilità debbono ricorrere le condizioni e debbono essere osservate le procedure e le modalità previste.
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