Con un articolo di Mirella Serri lodevolmente inusuale per dimensione e rilievo, “La Stampa” del 14 gennaio scorso informa che è in libreria: Paolo Borgna – Il coraggio dei giorni grigi. Vita di Giorgio Agosti. Laterza, pagg. 220, 24 euro.
Nell’articolo è diffusamente tratteggiata la figura del protagonista: studente al liceo “Massimo d’Azeglio” di Torino (dove Augusto Monti insegnò lettere e rettitudine personale e civile ed ebbe in classe Pavese, Bobbio, Ginzburg, Pajetta, per ricordare solo alcuni di quanti assunsero posizioni di rilievo nella storia d’Italia), quindi universitario, magistrato e tra i fondatori del Partito d’Azione nel 1942. Partigiano subito dopo l’8 settembre 1943 e primo questore di Torino dopo la Liberazione.
L’articolo è corredato da due lettere; scelgo e riporto quella che Giorgio Agosti scrisse a Dante Livio Bianco il 4 aprile 1944 (contenuta nel libro di G. De Luna, Un’amicizia partigiana, Bollati Boringhieri, 2007), per l’essenzialità e la limpidezza del pensiero e della scrittura che dicono molto della sua personalità ed aiutano a capire le ragioni profonde che ne motivarono scelte ed azioni, insieme a quanti decisero di opporsi alla tirannide ed all’obbrobrio nazifascista e per riconquistare libertà e dignità anche a costo della vita.
“ Carissimo, la nostra parte non è facile, il nostro lavoro è il più oscuro, forse infangato. Per gli uni saremo dei pazzi, per gli altri dei sovversivi: a cose finite tutto il buon senso dei filistei ci giudicherà con sufficienza o con avversione. L’alternativa di oggi è di lasciarci la pelle in combattimento o di finire […] al muro o in campo di concentramento in Germania. L’alternativa di domani è di ritrovare, ignorati o dimenticati, il nostro lavoro, o di doverci difendere da nuove persecuzioni, che vengano da destra o da sinistra. Eppure questa lotta, proprio per questa sua nudità, per questo suo assoluto disinteresse, mi piace. Se ne usciremo vivi, ne usciremo migliori; se ci resteremo, sentiremo di avere lavato troppi anni di compromesso e di ignavia, di avere vissuto almeno qualche mese secondo un preciso imperativo morale.”
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