Nel panorama odierno esortare all'onestà rischia di diventare una malinconica litania. Forse è ora di dire e praticare l'onestà come stile di vita che diverte, gratifica e giova per l'autostima.
Senza insistere troppo però. Altrimenti si rischia di passare per “ciula”, dal piemontese schietto che sta per minchione o giù di lì.
Essere consapevolmente in pace con sé stessi e la propria coscienza consente serenità non disgiunta da intima felicità giovevole all'equilibrio ed alla salute, intesa non solo come assenza di patologie ma come migliore espressione di sé per sé.
Prendendo atto che non è più un deterrente il peccato grave in cui s'incorre violando il settimo comandamento, né le maldicenze che s'innescano e si alimentano e neppure la prigione.
Riscoprire l'anatema sa di ultima spiaggia.
Sembra provato che si rischiano nuove ed anche gravi patologie se si vive in uno stato d'animo conflittuale, contraddittorio rispetto al proprio intimo sentire e stile di vita.
Rubare in particolare mentre si ricoprono ruoli pubblici per la bramosia di avere per prevalere, confligge oggettivamente con l'essere che è qualità per eccellenza e senza limiti.
C'è poi un intreccio perverso tra la problematica disonestà in atto e la diffusa disponibilità a credere alle fanfaluche più strabilianti se ritenute di convenienza per sé. E si è disposti a sperare di più in un eclatante improbabile evento a proprio favore, che curarsi di opportunità concrete ed attuali insite nel normale vivere quotidiano.
Eppure nonostante tutto c'è ancora una stragrande maggioranza di persone oneste su cui contare.
Urge occuparsene operando a sostegno.
Magari anche istituendo il Nobel dell'onestà.
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