Lunedì 9 dicembre scorso a Torino i “forconi” mi hanno costretto a spostarmi sui miei cigolanti ginocchi, perché i mezzi pubblici andavano in rimessa interrompendo la loro corsa, i centralini dei taxi non rispondevano e non c’era altro modo per rientrare a casa.
Dopo una via crucis da non dire, mi hanno aiutato i tranvieri del deposito nei pressi, facendomi salire su un tram che stava entrando in servizio.
Tutto questo mi ha sollecitato a riflettere su di loro, per quanto ho visto, sentito e letto.
Si tratta di un movimento di protesta che s’è dato un canovaccio che adatta alle situazioni in cui decide di operare. In non molti riescono a mobilitare e capeggiare proseliti disponibili lì per lì, coinvolgendoli in iniziative anche importanti come blocchi stradali e ferroviari, senza apparentemente porsi alcun problema sulle conseguenze dei loro comportamenti.
Con modi spicci inducono le persone in disaccordo a soggiacere alle loro pretese.
Costituiscono una variegata nebulosa che si fregia della sigla, riservandosi però una notevole autonomia operativa.
Intercettano insoddisfazione e malcontento ed esigenze reali, cavalcandole però a propria discrezione.
Al loro interno c’è di tutto un po’: dagli ultrà calcistici agli estremisti di destra, e perfino chi inneggia a non andare tanto per sottile.
Quindi s’é andati ben oltre gli intendimenti originari dei fondatori del movimento, al punto da ritenere che altre siano attualmente le finalità che esso persegue. E che non essendo note e dichiarate, né riconducibili a qualcuno che ne risponda, il tutto vada considerato con particolare attenzione e prudenza.
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