Il prof. Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile, è morto al policlinico Gemelli di Roma il 6 febbraio scorso. Era nato a Cigliano Vercellese ed aveva 98 anni. Attivo fino alla scorsa estate, quando fu colpito da malore dal quale non si è più ripreso.
Studiò le connessioni tra le potenzialità naturali del bambino e l’ambiente familiare e sociale nel quale è inserito. Ambientalista convinto – piantare un albero ogni bimbo che nasce – strenuo sostenitore di spazi verdi per il gioco e la socialità. Amante della vita, assertore infaticabile dei diritti dei bambini con asili-nido e scuole a misura dell’infanzia. Tempi di vita e di lavoro dei genitori compatibili con la cura dei figli, l’importanza della famiglia e dell’intorno nella loro crescita fisica, mentale e sociale. Più che regali, giocare coi bambini e fornire loro stimoli e opportunità perché si ingegnino. Educare era per lui una parola bella e impegnativa. Sosteneva e si adoperava perché si investisse nella scuola e nella cultura, per preparare un futuro migliore per tutti. Era per il voto a 16 anni nelle elezioni amministrative, come stimolo all’assunzione di responsabilità.
Due i libri che costituiscono la base del suo pensiero di scienziato e del suo insegnamento: “Genitori grandi maestri di felicità” e “Le madri non sbagliano mai”, entrambi editi da Feltrinelli.
Lo stesso giorno sempre nella capitale, quattro fratelli: Raul, Fernando, Patrizia e Sebastian, tra i 4 e gli 11 anni, sono morti nell’incendio della baracca dove vivevano lungo l’Appia Nuova. Poco prima del rogo i loro genitori si erano assentati per procurarsi del cibo. Nei pressi c’erano altri ricoveri di fortuna utilizzati da famiglie di diseredati.
Questa tragedia ripropone il grave stato di abbandono delle famiglie povere ridotte allo stremo dalla crisi. Già altre volte si sono verificati in Italia fatti così gravi e dolorosi ma, aldilà di iniziative di circostanza, s’è fatto ben poco da parte delle istituzioni per risolvere il problema dei senzatetto costretti in tuguri. Anzi, in alcuni casi è prevalsa la valutazione che si trattasse di un problema di sicurezza e di ordine pubblico, anzicchè di stato di necessità con degrado umano e sociale com’è in realtà.
Risolvibile senza il ricorso a procedure o norme particolari ma con ordinari atti amministrativi, come ha autorevolmente affermato il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Quindi chi di dovere – i Comuni, in questo caso quello di Roma – deve provvedere senza indugio.
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