Per essere considerato un Paese affidabile, l’Italia dovrebbe avere il Pil (Prodotto interno lordo, cioè quanto si produce in Italia in un anno) in crescita tra l’uno e il due per cento. Con il bilancio dello Stato in pareggio, cioè entrate e uscite che si equivalgono. E’ una qualità di vita accettabile per tutti.
Attualmente abbiamo il Pil che non cresce; un disavanzo del bilancio annuale – cioè maggiori spese rispetto alle entrate – del 4% circa; una qualità di vita oggettivamente inadeguata per il 15, 20% degli abitanti (famiglie monoreddito, pensionati al minimo o con meno di mille euro al mese, famiglie con disabili e/o anziani a carico; cassintegrati e senza lavoro, in particolare giovani). Inoltre siamo indebitati per oltre 1850 miliardi pari al 120% del Pil. Su questo debito paghiamo interessi per 85 miliardi l’anno.
In passato ci siamo già trovati in situazione analoga e la cura adottata fu semplice e facilona: svalutazione della lira anche del 20% e oltre; quindi pagavano soprattutto i redditi da lavoro a causa del minor potere d’acquisto di paghe e pensioni, ed i risparmiatori con la svalutazione del capitale investito.
Un modo subdolo che molti stentavano a capire, pur subendone le pesanti conseguenze.
Con l’ingresso nell’Italia nell’euro (anno 2001), questa pratica disdicevole e socialmente iniqua non è più possibile. Dobbiamo quindi comprendere le cause di questo malessere e porvi rimedio; con modi e tempi che facciano salva l’irrinunciabile condizione, di poter vivere in modo degno per noi stessi e per realizzare quanto serve per mettere a posto le cose.
I miliardi di euro che occorrono per avviare e portare a regime le operazioni necessarie, devono essere reperiti con tagli di spese superflue e chiedendoli soprattutto a quanti ne posseggono assai, e possono darli senza nocumento per il loro tenore di vita e per l’attività svolta.
La prosecuzione è compito di tutti, rimboccandoci fin d’ora le maniche.
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