La tragica vicenda della nave da crociera “Costa Concordia” sollecita riflessioni su molti argomenti, tra i quali si sceglie il “sapere e saper fare”.
A prescindere dalla opportunità-utilità-compatibilità di costruire navi da diporto di stazza così grande – oltre 100 mila tonnellate – si è d’accordo nel considerare
Si può quindi affermare che il “sapere e il saper fare”, cioè il lavoro nella sua accezione migliore, trova nella fattispecie la sua sintesi.
Dopodichè la nave viene consegnata all’armatore “Costa Crociere” che la gestisce fino ai giorni nostri senza particolari problemi.
Poi, in un viaggio di normale “routine”, succede la tragedia che conosciamo, a determinare la quale hanno concorso una sfilza di leggerezze, imprudenze, imperizie, omissioni ed altro, che è raro riscontrare in casi del genere e su cui indaga
Si tratta ora di capire come sia stato possibile costruire un naviglio di così alta qualità e gestirlo bene per anni, e poi incorrere in inammissibili pressappochismi che ne hanno causato il naufragio.
Per motivi ancora da chiarire, analoghe circostanze non si sono ripetute nella gestione della nave, dove la carenza più evidente emersa nel naufragio ed attribuibile a ruoli elevati di potere e di comando, è stata di cultura; intesa come sapere generale, risorse etiche, principi deontologici, indispensabile per poter governare la complessità e reagire in modo appropriato nelle sopravvenienze, agli imprevisti.
Carenza cui ha fatto riscontro – non per caso – l’encomiabile comportamento dei livelli inferiori nella scala gerarchica presenti sulla nave, che si sono prodigati per la salvezza dei passeggeri. In virtù di principi di umana solidarietà ed altruismo, patrimonio personale di quanti, molti, lavorano con senso di responsabilità.
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