22 nov 2016

Facciamola corta.

Qui giunti facciamola corta: ci sono sufficienti elementi per confermare che l'impazienza caratterizza da sempre le nuove generazioni e che l'attuale non fa eccezione, salvo la velocità e l'intensità inedite e l'estensione globale con la quale si manifesta.

E che l'esercizio della pazienza compete invece a quanti giovani non lo sono più.

Da qui comportamenti anche estremi di giovani che non vanno per il sottile per rendere più confacente a sé la realtà in cui vivono; e la riluttanza degli anziani alle novità e cambiamenti che ciò comporta.

Mettendo in conto entrambi che l'impellenza esistenziale avrà comunque il sopravvento e che in discussione rimarranno modalità e tempi del suo esprimersi.

Indotto a riflettere su questi argomenti dal racconto di una giovane donna cui è morto prematuramente ed improvvisamente l'amato compagno; e come tra gli atti per l'elaborazione del lutto lei abbia voluto pranzare da sola in un ristorante esclusivo presso cui avevano già deciso di recarsi. Modalità almeno inusuale rispetto alle consuetudini; per lei invece intimo atto d'amore nell'intangibile convinzione che a lui sarebbe piaciuto così.

A relazionare i due punti di vista non può che provvedervi l'accorta mediazione della generazione cui compete affinché da entrambi emerga il buono per lenire sofferenza e ricuperare serenità e – perché no – perfino felicità.

Estendere alla società civile un ragionamento analogo significa superare il timore del nuovo scalpitante e spazientito, da parte della componente tradizionalmente paziente; giungendo alla mirabile sintesi della complementarietà, ovvero quanto manca a te lo metto io.

Con risultati inediti, magari sorprendentemente moderni, soddisfacenti, gratificanti.

 

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per il tuo commento. A presto.