13 mag 2011

Articolo 41

Il 7 maggio scorso a Bergamo, alle Assise generali 2011 di Confindustria, l’assemblea ha tributato un applauso a Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssenkrupp presente, recentemente condannato dalla Corte di Assisi di Torino a 16  anni e mezzo per il reato di omicidio volontario con dolo eventuale, per la morte di 7 operai, nell’incendio che si verificò nello stabilimento di questa città il 6 dicembre 2007.

A seguito di una inchiesta scrupolosa e nel corso del processo, è emerso che lo stabilimento doveva cessare la produzione, e che, per risparmiare, sia i macchinari che il sistema di sicurezza antincendio non erano più stati mantenuti in condizioni di normale efficienza. Da qui il tragico rogo.

Stando così le cose, ragioni serie per applaudire non ce n’erano. Semmai per riflettere sugli errori commessi e sulle loro drammatiche conseguenze, dolersene e rimediare – per quanto ancora possibile – al male che tutto questo ha portato.

D’altro canto è la stessa Costituzione all’articolo 41 a dettare i principi indefettibili cui l’attività economica deve sottostare: “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”

Recentemente proprio questo articolo è stato inserito dal governo di centrodestra tra quelli da modificare, perché porrebbe vincoli improprii alla libertà di impresa, che dovrebbe – dicono – sottostare solo alle leggi del mercato. Che, come si sa bene, lasciato senza paletti, le combina così grosse da consentire a gruppi di organizzati speculatori in guanti gialli, di arricchirsi a danno della stragrande maggioranza dei cittadini, ponendo a grave rischio addirittura equilibrii vitali degli Stati.

Pericolo già ben presente al liberale Luigi Einaudi che nel suo libro: “Lezioni di politica sociale” Einaudi editore, così s’espresse nel 1949: “Ma il mercato non può essere abbandonato a se stesso [….], perciò dobbiamo far sì che utilizzi le sue buone abitudini a governare la produzione e la distribuzione della ricchezza entro certi limiti che noi consideriamo giusti e conformi ai nostri ideali di una società, nella quale tutti gli uomini abbiano la possibilità di sviluppare nel modo migliore le loro attitudini, e nella quale, pur non arrivando alla eguaglianza assoluta [….], non esistano disuguaglianze eccessive di fortune e di redditi”.

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