"Il cancro non è maestro di vita" è il titolo dell'articolo a tutta pagina su "la Repubblica" del 23.5.19 dello scrittore Colm Tóibín, irlandese, 63 anni, autore di libri importanti, il quale racconta la sua dolorosa esperienza contro la malattia dalla quale è uscito vincitore, senza però trarvi alcun insegnamento: "Insomma, io non ho imparato niente dal cancro. Niente. Niente:".
Mentr'io ritengo si possa imparare assai a patto di considerare la malattia un accidente della vita sì, ma vita esso stesso; certo dedicandovi quanto occorre perché non abbia a prevalere.
Fino a conviverci se si perviene alla fase delle cure palliative che, per quanto capisco, attribuiscono al sistema immunitario che si reputa efficiente un ruolo importante, tenuto conto di tutte le altre condizioni tra cui l'età, già superiore a quella media nel caso di cui si tratta.
Contano non poco le motivazioni a dedicarsi a quanto stimola a vivere, nulla di lecito escluso, e l'ambiente nel quale tutto questo è capito e condiviso, meglio se quello consueto e familiare.
L'assistenza medica consiste in periodici controlli che accertano le normali condizioni generali della persona e come essa viva il tutto.
È irrinunciabile non avvertire dolore o poterlo tenere al disotto del livello di fastidio, e che l'insieme consenta di intrattenere rapporti interpersonali con la cerchia di persone con le quali si ha consuetudine e familiarità.
Realizzando una "normalità" condivisa in cui la malattia non impedisce di condurre la solita vita, addirittura con sensibilità e stimoli nuovi altrimenti non possibili perché impensabili.
E contenere il futuro al giorno dopo giorno, portatore di cose nuove, emotività e gusti inediti.
Annoverabili tra quelli che rendono piacevole l'attesa e lieti il loro manifestarsi.
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