Venticinque anni fa esplose la centrale nucleare di Cernobyl in Ucraina presso il confine bielorusso: una nube radioattiva fuoriuscì e attraversò i cieli, gravissimi i danni umani e materiali locali e generali, con conseguenze che durano tuttora. Si disse che era un impianto obsoleto, trascurato e sul quale erano intervenuti in modo incauto. E che in futuro nulla di simile poteva ripetersi.
Nel frattempo nelle centinaia di centrali in funzioni sulla Terra si sono verificati incidenti vari, alcuni anche gravi, di cui poco o nulla è venuto a conoscenza del grande pubblico. Con reticenze ed opacità che contraddistinguono la gestione di questi impianti.
In Italia si tenne un referendum attraverso il quale i cittadini si espressero a larghissima maggioranza contro il nucleare.
Recentemente un terremoto di 8,9 gradi della scala Richter (60 mila volte più potente di quello dell’Aquila), seguito da uno tsunami con onde alte
Alcuni dei 55 reattori nucleari esistenti (reattori, appunto e non centrali, come riportato per svista ne “l’opinione” del 22 marzo scorso) nelle numerose centrali funzionanti sul territorio nipponico, hanno patito seri danni. I più gravi si sono verificati nella centrale di Fukushima, con la fuga di radioattività che sta contaminando acqua, aria, suolo.
A nulla sono valsi finora i disperati tentativi di bloccarla, da parte dei migliori esperti del settore intervenuti sul posto.
Va ricordato che il Giappone è a grave rischio sismico, per cui le tecniche costruttive, la preparazione della popolazione e lo stesso stile di vita sono improntati a realizzare condizioni di massima sicurezza.
Eppure tutto ciò, insieme al grande impegno e dedizione profusi durante e dopo il cataclisma, non è valso a scongiurare il drammatico corso degli eventi.
Come se il mondo provasse un senso di inanità, di impotenza a padroneggiare la situazione che si è determinata.
E maturasse una consapevolezza nuova che impone di fare i conti con questo limite, per poter assumere con responsabilità decisioni conseguenti.
E non trovarsi la “spada di Damocle” sul capo, appesa all’atomo anziché ad un crine di cavallo.
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