Nei ballottaggi del 29-30 maggio scorso gli elettori hanno ribadito e rafforzato l’orientamento del primo turno, affidando ai candidati del centrosinistra la maggioranza negli 88 comuni e 6 province in cui s’è votato. Vi erano comprese realtà importanti come Milano, Napoli, Trieste, Cagliari, Novara, per citarne solo alcune.
A questo voto si è voluto attribuire fin dall’inizio un significato politico più generale e gli elettori si sono prestati, esprimendosi in modo chiaro. Ora non resta che trarre le conseguenze.
Il capo del governo s’è esposto in prima persona, capeggiando la lista del Pdl a Milano e conducendo una campagna elettorale come referendum sulla sua persona. Il risultato è stato il dimezzamento dei suoi voti di preferenza rispetto alle elezioni del 2006, al primo turno, e un severo giudizio di inidoneità a continuare per il sindaco uscente signora Moratti, al ballottaggio.
Un “vulnus” pesante: sminuita la fiducia, la credibilità, l’autorevolezza di Berlusconi come leader politico e come presidente del consiglio, respinto all’esame al quale s’è volontariamente presentato. La conseguente richiesta di sue dimissioni da parte delle opposizioni in parlamento è quindi scontata. Incaponirsi a restare non trova serie ed accettabili giustificazioni. Forse una ripresa di fervore operativo del governo per dare risposte alle esigenze reali del Paese, potrebbe rappresentare un segnale di vitalità. Ma se non è arrivato prima, com’è possibile adesso, in un clima da resa dei conti nella stessa maggioranza di centrodestra?
Imprevista nella sua consistenza ed estensione e trasversale, la fiducia che il voto riconosce alle opposizioni parlamentari ed in particolare al Partito Democratico e le responsabilità che a loro affida.
Occorre che esse pongano mano senza indugio a decisioni che disincaglino l’Italia e le consentano di riprendere a vivere ed operare come può e sa, per corrispondere alle attese ed ai bisogni che il voto ha confermato. Coinvolgendo energie e risorse ovunque esistenti, i giovani soprattutto. Soddisfacendo la domanda di democrazia più partecipata, anch’essa ben presente e manifesta.
Economia, lavoro, equità fiscale, sviluppo e sostegno alla parte più vulnerabile della società, sono le priorità. Operando con generosa e competente dedizione per il bene comune e l’interesse generale.
Lo stesso spirito deve animare la partecipazione al referendum del 12-13 giugno prossimo. Intanto per garantire il raggiungimento del “quorum” con oltre il 50% dei votanti. Quindi confermare l’acqua come bene vitale di tutti e la produzione di energia da fonti rinnovabili, anzicché con il nucleare. Ribadire infine che “la legge è uguale per tutti” abrogando il “legittimo impedimento”, cioè il trattamento di favore per il presidente del consiglio ed i ministri.
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