Scrivo a caldo dopo avere appreso le prime notizie sulle elezioni regionali in Calabria ed Emilia-Romagna dove hanno votato rispettivamente il 43,5% e meno del 38%, cioè percentuali infime, da corpi elettorali che poco o nulla hanno da chiedere alla politica democratica che li soddisfa; ovvero che non credono di potere ottenere alcunché di quanto desiderano.
Gli organi di informazione affermano che ha vinto il partito del “non voto” ma, stando ad un vecchio moto socialista (Turati?), chi non c’è non può fare la differenza.
In attesa di conoscere i risultati definitivi è possibile affermare che nelle due realtà in cui si è votato l’approccio alle elezioni non è stato di quelli che stimolano gli elettori a recarsi ai seggi.
Diatribe ed oltre sono stati probabilmente elementi dissuasivi, in aggiunta al dare la sensazione che l’esito fosse scontato.
Quindi il “che ci vado a fare?” di oltre la metà degli aventi diritto può avere inizio da qui.
Poi certo si differenzia e precisa nei suoi contorni politici, ma non al punto di indurre la corsa ai seggi.
Anzi gli elettori più adusi, accorti, scafati, smagati od anche solo disillusi possono avere trovato ulteriori motivi a sostegno della decisione di astenersi.
Il caleidoscopio dei “non ci vado proprio” ha probabilmente colmato la misura, lasciando a veri e proprii aficionados il compito di attutire il capitombolo elettorale dei partiti (ed anche un po’ della democrazia?), nell’attesa di costruire tempi migliori.
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