L’argomento staminali e metodo stamina tiene banco tra speranze, dubbi, perplessità, contrarietà.
Ci rifletto da cittadino dopo essermi documentato leggendo: E. Soresi “Il cervello anarchico”, UTET 2005; E. Soresi e altri “Guarire con la nuova medicina integrata”, Sperling & Kupfer Editore, e seguendo il dibattito in corso.
Esprimo il succo di quanto m’è parso di avere capito.
Prima di adottare qualsivoglia pratica medica o somministrare farmaci, si deve disporre dell’evidenza scientifica, cioè sperimentale, che quanto si propone non solo non nuoccia, ma giovi al paziente e lo aiuti a guarire.
Per evitare che il paziente diventi una cavia inconsapevole.
Ci sono quindi protocolli e regole da osservare per accertare e dimostrare che si è seguito il percorso giusto; con i preposti che controllano.
Nel caso della produzione di cellule staminali e del loro impiego, le aspettative sono elevate perché potrebbero rigenerare e guarire “naturalmente” organi malati.
Va da sé che pazienti affetti da patologie per le quali non si dispone ancora di cure risolutive, nutrano particolari e più urgenti speranze.
C’è però da decidere se considerare le staminali alla stregua della somministrazione di farmaci o come trapianti; perché diverse sono le procedure autorizzative e di controllo da adottare.
Nel primo caso infatti l’utilizzo deve essere preceduto da una sperimentazione ormai usuale e collaudata; mentre se le si considera trapianto è di somma importanza accertare previamente le caratteristiche e la qualità delle cellule e la loro idoneità ed efficacia nei confronti della patologia da curare.
Cosa tutt’altro che agevole allo stato delle cose; ragion per cui gli esiti del confronto scientifico e l’etica comportamentale potrebbero risultare determinanti.
Recentemente la ministra della sanità ha nominato i membri del nuovo comitato che dovrà esprimersi sul metodo stamina.
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