La prima volta a Milano fu all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, in occasione di un seminario che si teneva in un residence di mattino.
Arrivai nel tardo pomeriggio del giorno prima ed all’accoglienza fui oggetto di particolari attenzioni dell’addetto che mi chiese di cenare con lui: declinai l’invito adducendo cose da fare, e non diedi peso alla cosa.
Successivamente venne a bussare alla porta della mia cameretta insistendo ancora. Senza aprirgli dissi che sarei uscito rientrando tardi; così feci di lì a poco eludendolo.
Percorso a piedi un buon tratto cenai spartanamente al bar.
Ancora a passeggio senza meta gustando la Milano dei navigli, ormai in parte coperti.
Il rarefarsi dei passanti e l’infittirsi della nebbia mi indussero a tornare sui miei passi, senonché persi l’orientamento. In giro non anima viva, rade le auto, bar chiusi, nessuna cabina telefonica in vista.
Una figura umana sul bordo della strada intercetta la fioca luce d’un lampione: è una donna.
«Buona sera signorina»;
«Buonasera» mentre ancheggiando s’avvicina;
«Non vorrei infastidirla o importunarla»;
«Si figuri! »;
«Mi sono perso nel buio tra la nebbia; le posso chiedere di aiutarmi a ritrovare via….?»;
«Mi segua fino all’angolo, ormai non si vede oltre il proprio naso»;
Camminiamo fianco fianco per un centinaio di metri in silenzio.
«Ecco ora prosegua, alla prima svolti a destra e si trova nella via che cerca; ce la fa da solo?»;
«Penso proprio di sì, ma lei ha perso tempo; posso almeno offrirle un caffè o un punch al rum se troviamo un bar aperto?»;
«Conosco la zona, non ce ne sono di aperti a quest’ora, poi ho ancora da fare»;
«Allora molte grazie per la gentilezza e buona notte»;
«Di nulla, buona notte a lei».
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