4 feb 2015

Che la forma debba essere al servizio della sostanza non paiono esistere dubbi.

Otto anni figlio unico di genitori in lite; affidato ad una casa protetta dai servizi sociali è stato ucciso in modo efferato da suo papà in questa sede durante l’ora settimanale di colloquio.

Rimpallo di responsabilità, alla fine la Cassazione ha assolto tutti gli imputati, ovvero chi nella casa protetta doveva avere cura di lui, con la formula: “nessuno poteva prevedere ed impedire; nessuno ha sottovalutato o tradito la custodia del minore”.

Alla mamma che chiedeva lumi sulla drammatica vicenda la giustizia avrebbe addirittura addebitato delle spese!

Non s’intende qui discutere il verdetto, ma svolgere alcune considerazioni su forma e sostanza che emergono dalla triste vicenda.

Che la forma debba essere al servizio della sostanza non paiono esistere dubbi.

In questo caso la sostanza era il bimbo e per garantirne la tutela da ogni punto di vista: fisico, psichico, emotivo, degli affetti, la forma doveva essere la più idonea per raggiungere questo risultato.

Forma non definibile a priori se non per sommi capi; da declinare di volta in volta tenendo conto delle specifiche situazioni in cui il bimbo si fosse venuto a trovare.

Cioè chi di dovere avrebbe dovuto operare con un protocollo che prevedesse di fare tutto quanto era nelle sue possibilità nelle situazioni che di fatto si prospettassero, affinché la sostanza, cioè il bimbo, non avesse a patirne.

Quindi norma non solo per disciplinare lo svolgimento di un servizio di routine, ma capace di  attivare e sollecitare l’espressione del meglio delle persone preposte, così da tutelare veramente ed efficacemente la sostanza, cioè il bimbo.

Così evidentemente non è stato ed a soccombere è stato il più esposto, il più debole vittima di un papà insano da cui andava difeso.

 

 

 

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