17 ott 2011

Riconoscimenti

L’Africa al femminile ha ricevuto il Nobel per la Pace ex equo in tre: Ellen Johnson Sirleaf, settantadue anni, presidentessa della Liberia; Leymah Roberta Gbowee, trentanove anni, operatrice sociale liberiana; Tawakkul Karman, trentadue anni giornalista yemenita.

Nel continente culla dell’umanità, attualmente un concentrato dei problemi del mondo, c’è anche quanto serve per affrontarli e risolverli. La pace, presupposto essenziale per potervi porre mano, vede le donne protagoniste nel lavoro in corso per costruirla e svilupparla. Concrete e caparbie, esse operano secondo principi semplici ed efficaci: sviluppo sostenibile nel rispetto di madre terra, solidarietà a tutti i livelli, equo e giusto accesso attraverso il lavoro ai beni essenziali, perché tutti possano vivere dignitosamente. Principi adottabili da chiunque lo voglia, nella normalità della vita quotidiana. Per diventare costruttori di pace nel mondo globale, con le insignite a fare da battistrada.

Gramellini nel suo “Buongiorno” (“La Stampa” 8 ottobre scorso) afferma che Steve Jobs “era un genio e non un santo” e del suo discorso all’università di Stanford cita l’affermazione bella e tremenda: “la morte è la migliore invenzione della vita”. Di seguito accenna poi “all’omicidio del capitalismo perpetrato da certa finanza” che “neppure Obama è stato capace di fermare”, mentre “Jobs invece c’è riuscito”.

Secondo me Jobs ha fatto di più e meglio. Ha cioè dimostrato che il mercato globale può essere orientato al soddisfacimento di bisogni ed esigenze nuove, attraverso la collaborazione competitiva, per produrre qualità ed opportunità diffuse. Condizioni necessarie per la realizzazione di sé per sé ed a vantaggio della società nel suo insieme.

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